martedì 27 gennaio 2015

Irretiti

Pubblico qui la mia recensione a "La Rete è libera e democratica" Falso! apparsa, con il titolo "Irretiti", sul numero di gennaio/febbraio (319), appena uscito, della rivista Andersen, che ringrazio per l'autorizzazione.




Tra qualche riga leggerete un’affermazione forte su Rete e istituzioni totali; e automaticamente metterete sulla bilancia quanto di positivo la Rete ha prodotto nella vostra vita, nella vita di ciascuno. Il saldo ha segno +, certo. Ma qui la questione non è più soltanto sulle percezioni, è sui meccanismi profondi che informano la nostra esperienza di vita in relazione alla Rete. Sul piano individuale, ma pure su quello della dimensione sociale, politica, economica globale. Quella che vola ben oltre la gioia per aver ritrovato l’amico delle elementari, scovato una rara edizione del vostro fumetto preferito, contattato il collega dall’altra parte del globo in meno di mezzora o chiuso un contratto nello stesso tempo. La Rete ha indubitabilmente migliorato, per molti anni, la nostra possibilità di relazione, espressione e informazione. Ora qualcosa, forse, scricchiola. Banalizzazione e spettacolarizzazione dei contenuti di seri storici organi d’informazione (avete presente le fotogallery tipo “Come sono diventate le star anni ‘80?”) potrebbero esserne una buona spia. L’imperversare di blogger improvvisatisi pontificatori dello scibile pure.
“Più che a una democrazia globale in Rete, ci troviamo di fronte a una nuova istituzione totale”; Ippolita, gruppo di ricerca interdisciplinare nato nel 2006, a proposito dei social network non le manda a dire. L’uso del riconoscimento facciale, dei tag, dell’immediatismo informazionale sostengono, infatti, che forzi l’identità di ciascuno a una narrazione di “iper-coerenza performativa”. Di fatto spingendo all’introiezione del controllo, all’autocensura e alla delazione. Ed è solo una delle affermazioni - apparentemente sconvolgenti, di certo fuori dal coro e forse, per qualcuno, pure urticanti - che pagina dopo pagina fanno di un pamphlet tascabile una preziosa miniera di riflessioni per chi non voglia esercitare la critica su tutto tranne che sulla Rete. E i social network sono soltanto una delle realtà analizzate.
“La Rete è libera e democratica” Falso! (pp. 100, euro 9,00, Laterza, 2014) smonta, con la leggerezza della miglior divulgazione e con la serietà della miglior saggistica, un bel po’ di luoghi comuni su qualcosa che usiamo tutti abbondantemente ogni giorno e che nessuno conosce per davvero nei suoi meccanismi interni: internet e web. E già qui ci si può fermare a riflettere sul livello di consapevolezza e sull’uso linguistico diffuso, perché internet e web non sono coincidenti.  Il web (world wide web), con i suoi protocolli http, è solo uno dei servizi della Rete, assai più ampia (pensate a Skype o a ftp e torrent).
Il gruppo Ippolita - non nuovo a queste pratiche di critica del presente e già autore di Open non è free (2005), Luci e ombre di Google (2007) e Nell’acquario di Facebook (2012) - smonta alcune idee, pericolosamente ideologiche, assai consolidate sulla Rete. Una Rete che ci continuiamo a raccontare come libera, gratuita, trasparente e democratica e che in realtà ha molteplici vincoli (chiedetelo a un utente di Pechino o al ragazzino di Gallarate che si è visto, per mesi, bloccare l’accesso al social VK) e ha potentissimi, e ricchissimi, padroni.
Ippolita si pone domande che potremmo porci tutti, tutti i giorni, aprendo il computer: come fa a guadagnare Google? Come è possibile che i servizi più in voga (Facebook, Twitter, Skype, WhatsApp, LinkedIn etc) e tanti tantissimi giochi, applicazioni e contenuti siano gratuiti? Ippolita cerca risposta e suggerisce, forse gli utenti più consapevoli l’hanno intuito da un po', che la vera moneta con la quale paghiamo tutto questo in realtà siamo proprio noi. Con i nostri percorsi di navigazione, le nostre esplorazioni, “la nostra unica e inimitabile impronta digitale”, “le nostre informazioni personali e quelle dei nostri amici”. Insomma ci svendiamo, anzi ci regaliamo. E non solo alla pubblicità. Ci regaliamo alla più raffinata, e subdola, attività di profilazione ovvero ad essere merce pronta ad acquistare merce che ci assomiglia, fatta proprio per noi. La profilazione, e l’utilizzo dei servizi in questione, ha peraltro implicazioni cognitive non marginali, inducendoci nei fatti ad una limitazione, invisibile e quindi più pericolosa, dell’esperienza. Finiamo col trovare solo quello che qualcuno pensa stessimo cercando, altro che algoritmi neutri.
Le suggestioni offerte da questo pamphlet non dovrebbero però essere colte come il racconto del babau, da ascoltare per fare e farsi paura, e poi sperare di non incontrarlo mai. 
Tra Rete e babau c’è una differenza: il babau (tappate le orecchie ai bambini) non esiste, la Rete sì. 
E ci siamo immersi, molte ore al giorno. Per lavoro, per svago, per socialità. Le suggestioni dovrebbero quindi poter diventare una buona occasione per domandarsi come stiamo di fronte alla Rete. Come cittadini, come genitori, come lavoratori (magari proprio nei campi dell’educazione o del sapere; responsabili della trasmissione delle conoscenza, della formazione delle nuove generazioni).
Beninteso, nelle riflessioni offerte non c’è nessuna stigmatizzazione della tecnologia e delle sue potenzialità. I ricercatori dietro a questo progetto, del resto, sono tanto filosofi colti quanto smanettoni informatici appassionati. C’è piuttosto un invito alla consapevolezza, all’utilizzo competente delle risorse del presente; giusto per non rimanere schiacciati in posizione subalterna, delegando a tecnocrati invisibili ai quali difficilmente potremmo altrimenti mai revocare delega e chiedere il conto o spiegazione. Già oggi è così, anche per le cose più banali e quotidiane che facciamo in rete. Pensate alla vostra posta elettronica - ricordi personali, missive affettuose, preziosi contatti di lavoro, documenti fondamentali, qualche segreto - e chiedetevi: dov’è? Di chi è? “Mia”, direte. Più o meno. Avete mai letto, per davvero, i contratti d’utilizzo? E, allora, se domani il vostro gestore fallisse, si ritirasse, perdesse per dolo o per imperizia i vostri contenuti, o se li vendesse a terzi? Non succederà, tranquilli, non ora perlomeno, ma qualora succedesse cosa potreste fare? Telefonare, a chi? Inviare una mail, con quale account e, ancora, a chi? Le grandi società di gestione di servizi web, lo avete letto in questi anni, si sottraggono con facilità e qualche cavillo di diritto (la non territorialità) alle inchieste delle grandi nazioni occidentali, pensate davvero di poter avere maggior potere o fortuna della fiscalità tedesca?  (ar)


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