giovedì 9 marzo 2017

Il volto e lo stigma




Il volto è l'unica parte di sé, del proprio corpo, che in questa porzione di mondo non si può celare, nascondere, camuffare o dissimulare tra tessuti. Nascondere il viso - con maschere vere e proprie o semplici foulard e caschi, poco importa - richiama immediatamente il disordine, il caos, la sovversione; tanto da essere colto come un chiaro segno di cattive intenzioni e di travisamento utile a tenersi fuori dal controllo sociale: così nei baccanali degli antichi e nei cortei carnascialeschi dei folli; così negli assalti alla diligenza dei banditi western, fazzoletto sul volto, o in quelli alle banche, maschere in lattice sulla faccia, celebrati anche dal cinema; così nelle manifestazioni politiche più violente degli anni '70 o nelle più recenti azioni, di varia ma comune natura antisociale, dei casseurs, delle bandillas o dei black bloc. Il volto non si nasconde, e farlo è considerato reato; in Italia in virtù dell'articolo 5, legge n. 152 del 22 maggio 1975 (“È vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”) si rischia da uno a due anni di carcere e fino a duemila euro di ammenda. Le ansie da terrorismo internazionale degli ultimi tempi hanno riacceso il dibattito e consigliato in certi ambienti addirittura maggior severità; per contro la presenza di nuove sensibilità culturali e religiose, con l'aumento delle comunità di religione islamica dove il velo femminile è prescritto e atteso, ha indotto a interpretazioni più rispettose delle scelte di ciascuno. Certo, non senza strascichi polemici. Fatto sta che il volto non si nasconde e farlo è perlomeno indice di sospetto. Il viso va esibito (e non da ora, tempo di selfie and white teeth), ché rappresenta un elemento decisivo per la riuscita sociale: “mascella volitiva”, “occhi belli” (e varianti), “volto rassicurante”,  sono solo tre indizi che testimoniano, nell'uso linguistico comune, l'importanza di avere una faccia “a posto”. E chi non la ha è (vorremmo dire: era) esposto allo stigma sociale. I volti discosti dalla norma e le deformità del viso, più o meno marcate, si portano appresso un immaginario antico e perdurante che ricaccia non solo chi ha il volto preteso per imperfetto, ma anche chi guarda quel volto, in una zona d'ombra; un'ombra pericolosamente scivolosa, appunto, verso lo stigma più becero: quello che associa imperfezione del corpo con imperfezione dell'anima. Di certo, l'elaborazione personale e il confronto con il contesto sociale divengono costanti di chi porta sul volto segni particolari, per nascita o accidente. La letteratura ne ha fatto tema e spunto per molte narrazioni, anche nelle recenti proposte per adolescenti e giovani adulti. Oltre a Alicia faccia di mostro di Brunialti, recensito sul numero scorso e oggetto dell'intervista di Rossella Caso qui a fianco, potremmo ricordare la fortunata serie Wonder della scrittrice R.J. Palacio, il cui primo e omonimo romanzo è stato incluso nella terna dei finalisti del Premio Andersen 2014 per la categoria libri per ragazzi oltre i 12 anni, o ancora il recente Brucio (2016) di Christian Frascella, recensito su questo stesso numero da Guido Affini. Come detto il tema, variamente declinato, non è nuovo in letteratura; si potrà tornare almeno alla storia di Gwynplaine, protagonista de L'uomo che ride (1869) di Victor Hugo; a quella di Mascarita, personaggio de Il narratore ambulante (1987) di Mario Vargas Llosa; o,  per certi versi, a quella del capitano Fausto de Il buio e il miele (1969) di Giovanni Arpino.


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dove l'ho scritto, la fonte: questo intervento è uscito sul numero corrente della rivista "Andersen", n. 340, marzo 2017

l'immagine: un fotogramma dal film L'uomo che ride (The Man Who Laughs, 1928) di Paul Leni dall'omonimo romanzo di Victor Hugo (1869)

tracce: oltre ai libri indicati si potrà andare - almeno per Hugo e Arpino - a cercare le diverse trasposizioni cinematografiche, alcune che traggono solo suggestione dal tema; così come si potrà andare a cercare suggestioni e collegamenti in altre forme espressive o guardarne la ricaduta nell'immaginario e nelle produzioni culturali (pare che il Joker di Batman debba molto, certo nella resa visiva, all'interpretazione di Conrad Veidt nel film del 1928).

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